Nella contemporaneità artistica, dove i confini tra rappresentazione e percezione si fanno sempre più indefiniti, l’opera di Jana Kasalová si configura come un’indagine sulla costruzione e sulla mediazione del territorio. L’esposizione NAVIGARE (Trieste, Parco di San Giovanni, spazio MiniMu dal 3 al 26 ottobre 2025) curata da Miroslava Hajek, propone un percorso cartografico in cui piazze e vie europee assumono la funzione di nodi percettivi e simbolici, oscillando tra memoria storica e tensioni geopolitiche, e articolandosi in una rete di riferimenti che evoca, senza esplicitarlo, la stratificazione di eventi e significati che costituiscono il paesaggio urbano. Un contesto in cui il concetto stesso di cartografia da strumento di orientamento si evolve in dispositivo concettuale e interpretativo, in grado di mediare tra percezione, memoria e organizzazione sociale dello spazio. Le mappe di Kasalová, d’altronde, non tracciano confini rigidi, ma delineano linee fluide e palinsesti esperienziali, indicando che il territorio è costruzione culturale e sociale, in cui il nome, come segno linguistico, assume una funzione performativa capace di generare significati attraverso la relazione con l’osservatore.
Date queste premesse, il fruitore/navigatore è chiamato a confrontarsi con l’indeterminatezza del percorso, in cui il senso dello spazio si manifesta attraverso l’interazione tra elementi visibili e nascosti, costituendo un’ontologia del “segreto” in cui le mappe segnalano la presenza di riferimenti militari e confidenziali senza rivelarne il contenuto, introducendo dimensioni di conoscenza riservata e configurando la mappa come luogo esoterico, in cui il non detto diventa principio organizzativo e strumento epistemico. Sembra di essere introdotti in un ambiente percettivamente (e culturalmente) mediato all’interno del quale l’interazione con gli oggetti e l’ambiente circostante struttura la comprensione stessa del territorio, rivelando strati di significato che oscillano tra visibile e nascosto e trasformando l’esperienza in processo ermeneutico.
In quest’ottica, le mappe di Kasalová si configurano come strumenti concettuali di osservazione antropologica e urbana, che rivelano il territorio come campo stratificato di esperienze, dove la conoscenza è sempre incompleta e il segreto costituisce un elemento strutturale della percezione. Prospettiva d’altronde già ulteriormente sostenuta dai contributi di Hans Belting, secondo cui l’immagine agisce come interfaccia tra cultura, percezione e corpo, mediando tra ciò che è percepito e ciò che resta nascosto. In tal senso, le mappe non rappresentano semplicemente luoghi, ma condizionano il modo in cui lo spazio viene esperito e interpretato, configurando la città come campo di osservazione critica e laboratorio concettuale, in cui ogni nome e ogni segreto contribuiscono alla costruzione del senso.
Un contesto, in definitiva, che possiede la capacità implicita (ma pervasiva se trattata su un piano puramente storico e politico) di ridefinire confini e nomi, aprendo alla possibilità di reimmaginare spazi in cui memorie collettive, narrative dominanti e strutture di controllo non siano più fisse, ma negoziabili, sospese in un continuum dinamico di interpretazioni e relazioni. Quasi a suggerire un contributo politico della pratica artistica stessa in cui mappe e nomi funzionano come strumenti concettuali volti a indagare le relazioni tra visibile e nascosto, tra segreto e percezione, configurando il territorio come campo di esplorazione fenomenologica e poetica, in cui la dimensione politica permane implicita e mediata dall’atto creativo, senza assumere una centralità narrativa.
È qui che l’approccio di Kasalová solleva questioni epistemologiche centrali: può la cartografia ridefinire il rapporto tra individuo e spazio senza ridursi a gesto estetico o nostalgia concettuale? La forza delle opere risiede nell’ambiguità e nella mediazione: esse invitano a percorsi interpretativi attraverso superfici che testimoniano l’esistenza di un sapere nascosto, in cui il segreto diventa principio organizzativo.
Da una prospettiva teorica, le mappe possono essere lette alla luce dei concetti di Herzfeld e Smith: l’intimità culturale emerge nel riconoscimento dell’altro pur delimitandone i contorni, mentre la critica all’Authorized Heritage Discourse si manifesta nella rinegoziazione del patrimonio come processo sociale e conflittuale. Kasalová decostruisce le logiche di potere senza imporre interpretazioni univoche, restituendo agency all’osservatore e trasformando la memoria in cartografia, in cui ogni nome e ogni segreto partecipano alla costruzione del senso.
NAVIGARE si configura come laboratorio di orientamento concettuale: un apparato che non colonizza né prescrive, ma invita a confrontarsi con l’indeterminatezza del percorso, a riconoscere la presenza del segreto e l’esistenza di informazioni nascoste, e a esplorare il territorio come spazio mediato, esoterico e critico, in cui il concetto stesso di navigazione diventa pratica riflessiva di comprensione.
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