Vivian Dorothea Maier

DI SERGIO MARIO ILLUMINATO

Vivian Dorothea Maier confessa la sua filosofia sul senso della vita e della morte su una registrazione audio, in cui dice: “Dobbiamo lasciare spazio a coloro che verranno dopo di noi. È una ruota – si sale e si arriva fino alla fine, poi qualcuno prende il tuo posto e qualcun altro ancora il posto di chi lo ha preceduto e così via. Non c’è niente di nuovo sotto il sole”.

Quando John Maloof, agente immobiliare e appassionato di collezionismo, nel 2007 sviluppò le pellicole contenute in una scatola comprata per meno di 400 dollari a un’asta di Chicago, pensò immediatamente di essersi imbattuto in una grande fotografa. In realtà il nome Vivian Maier scarabocchiato su un pezzo di carta mischiato insieme ai rullini e ai negativi contenuti nella scatola, sembrava non avere una storia. Vivian Dorothea Maier, classe 1926, newyorkese, governante e bambinaia. In gravi ristrettezze economiche muore il 21 aprile 2009 a causa di un banale incidente. Nel corso della sua vita aveva realizzato forse un sogno: oltre centomila fotografie; e poc’altro. E’ morta all’età di 83 anni, senza una famiglia, ne figli e apparentemente nessun amico e senza avere mai mostrato le sue foto ad alcuno.

Il Museo di Roma in Trastevere dal 17 marzo al 18 giugno 2017 ricostruisce il lavoro fotografico della grande e sconosciuta autrice. La mostra retrospettiva Una fotografa ritrovata è prodotta da diChroma Photography, realizzata da Fondazione FORMA per la Fotografia in collaborazione con Zètema Progetto Cultura, e curata da Anne Morin e Alessandra Mauro. Non si conoscono tutt’oggi gli eredi della Maier, quindi, per legge americana chi possiede i negativi o le stampe delle immagini, non ne possiede automaticamente il copyright, e quindi il diritto di distribuzione e di vendita. Questo per dire che la mostra potrebbe vedere anticipatamente la chiusura e le fotografie sparire nuovamente nell’oblio fino a che gli effettivi eredi non concederanno l’autorizzazione alla pubblicazione. 

Ma torniamo a questa fotografa per vocazione. La mostra presenta 120 fotografie in bianco e nero realizzate tra gli anni Cinquanta e Sessanta insieme a una selezione di immagini a colori scattate negli anni Settanta, oltre ad alcuni filmati in super 8 che mostrano come Vivian Maier si avvicinasse ai suoi soggetti. Le città ritratte sono New York e Chicago in un momento di fervido cambiamento sociale e culturale. La Street photographer inquadrava con tempismo incredibile lo spirito dei tempi in questo enorme numero di immagini «per se stessa» – dicevamo – tentando di conservare come il bene più prezioso oltre 150.000 negativi e 3.000 stampe.

Fra i suoi soggetti preferiti ci sono persone anziane appartenenti alla comunità polacca di Chicago, vecchie signore in abiti vistosi e il mondo urbano della comunità afroamericana. Piccoli dettagli, particolari, imperfezioni. Nessuno sorride mai in nessuna delle sue foto. In verità l’unico scatto che ritrae un sorriso di compiacimento è in un autoritratto, tra i tanti, quando sorprende se stessa specchiata da un operaio. Molti, piuttosto, stringono mani. Mani seriali in bombetta in lettura di giornale su un tram. Mani come unico scudo per proteggersi di un barbone accartocciato sul marciapiede. Mani giocosi che fanno ruotare un pneumatico. Mani di un agente in aiuto ad una donna.

Scatti ripetuti “mano nella mano” rubati per strada, sulla nave, al ristorante. Mano della bimba che trattiene la mamma indifferente al richiamo. Mano nascosta sul corpo, sotto la gonna. Mano del nonno che trattiene il palloncino della nipote stretta a se. Mano con guanto femminile che stringe il figlio piangente o, in diverso scatto, bambina spaventata. Mani che probabilmente mai nessuno le ha concesso davvero con amore, nell’infanzia così come nell’età adulta. Mani che però sicuramente chiedono e danno come quelle di Vivian Maier che scattano compulsivamente con una Rolleiflex che non abbandonava mai. 

Piange ciò che ha fine e ricomincia. Ciò che era area erbosa, aperto spazio e si fa cortile, bianco come cera…Piange ciò che muta, anche per farsi migliore. La luce del futuro non cessa un solo istante di ferirci…” (Pier Paolo Pasolini “Il Pianto della Scavatrice” 1957).

Come scrive Marvin Heiferman Seppur scattate decenni or sono, le fotografie di Vivian Dorothea Maier hanno molto da dire sul nostro presente.” E in maniera profonda e inaspettata…

G-66PL6CNJ8R