Michelangelo PIstoletto e il tempo

DI SERGIO MARIO ILLUMINATO

Il tempo lo si può misurare soltanto in maniera indiretta, e il susseguirsi di una sequenza di movimenti, spostamenti, modifiche, su corpi, oggetti, paesaggi, lascia la sensazione dello scorrere di questa forza invisibile. Significativa appare la ricerca di molti artisti contemporanei che nel loro lavoro hanno provato non a rappresentare ma a presentare il tempo: osservandolo, marcando, sospendendo, condensando, o allungando il suo flusso.

MICHELANGELO PISTOLETTO. L’uomo dipinto veniva avanti come vivo nello spazio vivo dell’ambiente, ma il vero protagonista era il rapporto d’istantaneità che si creava tra lo spettatore, il suo riflesso e la figura dipinta, in un movimento sempre presente che concentrava in sé il passato e il futuro tanto da far dubitare della loro esistenza: era la dimensione del tempo”.

Nel 1961 (cifra al suo interno speculare), è l’anno del primo dipinto specchiante battezzato “il Presente”. Con questo titolo, dunque, Pistoletto definisce la condizione temporale che il suo quadro vive ed offre, suggerendo indirettamente che in arte non vi è posto per un’altra dimensione nel tempo oltre quella del movimento sempre “presente” in cui si opera.

Con un percorso di creazione artistica e di ricerca teorica che dura ormai da più di 50 anni, Michelangelo Pistoletto, si può considerare uno degli artisti più completi e affascinanti dell’era contemporanea. Protagonista indiscusso della seconda metà del Novecento, dall’ideazione dei quadri specchianti all’esperienza dell’arte povera, e della prima decade del ventunesimo secolo, dove il concetto di arte per la trasformazione sociale ha assunto le forme del Tavolo Mediterraneo e del Terzo Paradiso.

Lo specchio è l’elemento generatore del pensiero creativo di Pistoletto in rapporto alla realtà. Nello specchio il passato si presenta davanti ai nostri occhi e il futuro è alle spalle. Ma entrambe quelle dimensioni temporali sono compresenti nello specchio e nessuno può non accorgersene, con la conseguenza della necessità di considerarle entrambe in ogni momento della nostra vita.

“Nel quadro specchiante la dinamica fenomenologica consiste nel rapporto tra gli estremi: cioè l’estrema staticità della figura fissata e l’estrema dinamica delle figure in movimento intorno alla figura fissata. Quindi da questi due estremi nascono gli incontri di tutti gli altri termini opposti: fronte/retro, assoluto/relativo, ordine/caos, passato/presente/futuro; c’è un incontro continuo di termini opposti nel quadro specchiante, ma questo avviene non per mia descrizione, per descrizione volontaristica, ma per effetto metodologico. Quindi il quadro è diventato un fenomeno e non una proposta emotiva o intellettuale e soprattutto non è personalistico, individualistico, non è soggettivo, non c’è nulla di soggettivo nei miei quadri specchianti. La soggettività consisteva nel concetto di esistenza, di identità personale, ma come coscienza di sé e nello stesso tempo incoscienza del sé. Sapere di esistere, ma non sapere tutto quello che concerne il fenomeno esistenza. Quindi per me questo è stato il lavoro che ha preceduto i quadri specchianti.

Il “dispositivo dei quadri specchianti” innescano un processo fenomenologico di relazione simultanea tra tutte le componenti esistenti in un dato ambiente che cadono nell’azione riflettente dell’opera. I quadri specchianti in quanto presente continuo sintetizzano la tripartita divisione tradizionale del tempo nell’unidimensionale tempo dia-sincronico. La loro azione è dinamica e il tipo di spazio che determina scavalca quello ordinario bidimensionale della pittura tradizionale per giungere a una dimensione di transito tra questa, la scultura e persino l’architettura.

Essi insistono con le regole dell’arte sul versante della vita. Pur essendo modelli di spazio, la loro capacità di dilazione ed assorbimento è la dinamica stessa della vita in presenza dell’arte. La forte carica di attrazione che esercitano sull’osservatore i quadri specchianti è in gran parte dovuta al contrasto reso evidente tra l’immagine del passato, quale si viene a manifestare nella sua condensata e statica sembianza di un istante di vita che la foto ha bloccato, e l’immagine del presente, vivo e dispiegato nel suo moto, come la superficie riflettente rispecchia e testimonia.

La fotografia è l’amo che pesca e porta ad emergere in superficie un istante e una forma della vita dalla grande massa d’oblio in cui il tempo e il «passato» sembrano inghiottirla. Come la memoria, più del ricordo, la fotografia ha la facoltà di mettere in rapporto con il passato e col presente e, come il ricordo e la memoria, riproduce il passato che ha pure una «Vita» che la fotografia sembra non disperdere. Il ricordo e la memoria sembrano contenere in sé una conoscenza tanto che riconoscere taluno – come dice Minkowski – «equivale a sapere che lo si è visto precedentemente». La conoscenza fotografica allora è riconoscimento del tempo nell’istante in cui lo si è fermato catturando le forme in esso vive mentre la luce le investiva.

La fotografia, dunque, è anche memoria della presenza manifesta della luce nel tempo in cui essa bagna i corpi, si riflette su di essi. Allo stesso modo il fondo specchiante dei quadri di Pistoletto è la struttura pittorica su cui la luce nell’investire e bagnare di sé le forme del reale si riflette e riflette noi al vivo con essa. La figura reale e quella fotografica entrambe sorprese assieme alla luce pur vivendo due tempi splendono nel flusso simbiotico di essa.

La trasformazione della tela in specchio è avvenuta attraverso l’insistente lavoro sull’autoritratto. Me stesso come persona, come immagine e quindi la mia immagine è entrata nella sfera del noi quando la tela si è trasformata in specchio e quindi tutti gli altri esseri sono entrati nella stessa opera insieme all’autore: è iniziata una pluriautorialità. Autorialità voluta o non voluta, ma la risposta dell’essere sull’essere è avvenuta proprio in questo senso: io sono, noi siamo, essi sono, il verbo essere si è coniugato nella sua completezza. Lo specchio ha portato questa dinamica del rapporto tra i tempi diversi che sono il passato, il presente e il futuro. Il presente è fugace, consuma il futuro e produce un passato che però consuma il presente.”

Ogni immagine che Pistoletto posa sul quadro, che è un’immagine fotografica, non può essere altro che memoria di un momento, la fotografia è sempre memoria e quindi questa memoria sposta il presente verso un momento diverso che viene poi però reinserito nel presente che consuma il futuro… è tutto un andare dal futuro al passato attraverso il presente che crea tutto e distrugge tutto.
Questa è la fenomenologia di fondo del quadro specchiante dove la società entra nell’opera e passo dopo passo viene avanti il discorso della collaborazione, della cooperazione creativa, della responsabilità comune, cercando di trarre ispirazione, insegnamento dal quadro specchiante. È come guardare a una scoperta scientifica e trarre le conclusioni portando questa scoperta nella pratica. Pezzo per pezzo il dinamismo del quadro specchiante diventa tridimensionale, entra nella quotidianità.

Queste opere sono sempre precedute da un dubbio fondamentale sull’idea di fissabilità o meglio sulla fissabilità dell’idea. Tale dubbio si manifesta nella scelta dei materiali quale espressione di un mondo in costante mutamento (come l’utilizzazione dello specchio, quale mezzo sempre riflettente, la cui ragione di vita è di accettare le immagini soltanto come apparizioni passeggere ed effimere.

Determinato a non voler trattenere un’immagine, lo specchio fa subito posto alla successiva). Di conseguenza, la rinuncia a trattenere un’immagine specifica come dimensione ideale, offre la possibilità al tempo di affermarsi come dimensione figurativa, come mezzo. La trasposizione in una dimensione temporale dell’idea di immagine caratterizza quest’ultima sempre e soltanto come frammento spazio-temporale.

Di fatto, ciò che viene riprodotto è la partecipazione dell’immagine a un processo temporale che si sottrae nella sua totalità a qualunque riproducibilità. Siamo di fronte a un’immagine che continua a esistere perché fallisce nel suo tentativo di farsi definire.

I quadri specchianti, I plexiglas, gli Oggetti in meno, Lo Zoo costituiscono i momenti salienti di quell’attitudine che, via via, nel tempo si è sviluppata e dopo trent’anni, approda al Progetto Arte, al Tavolo Mediterraneo e al Terzo Paradiso…È dentro tale riflessione artistica che il processo di Pistoletto va dunque considerato: dietro ad ogni porta varcata scorgiamo una mirabile circolarità temporale e poetica che muove da uno stato di disagio vissuto in questi anni conseguente ad una situazione di effettiva crisi culturale, ancor prima che economico-sociale, a scala mondiale.

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