Soffia in Biennale il vento della guerra

DI ROBERTA MELASECCA

L’arte è sempre espressione della realtà e del momento storico della contemporaneità e l’artista un portabandiera, capace di condurci su terreni scomodi, impervi, facendoci così scorgere quella luce che con gli occhi chiusi non vediamo. L’arte non può essere superiore alla realtà, non se ne può estraniare; gli artisti sono, in fin dei conti, donne e uomini del nostro presente, vivono situazioni variamente intrecciate all’interno di ogni singola nazione, sono il prodotto delle generazioni e delle culture che la contraddistinguono. Essendo privi di quella parte dell’epidermide che filtra gli accadimenti della vita, si connettono con il trascendente e l’assoluto, con un senso altro, alto, comunitario, globale che li conduce fuori da una dimensione individuale. Per questo, come afferma Federico Ferrari, l’arte è un «linguaggio che non è di nessuno – il più solitario dei linguaggi – ma che ci mette in comune, che ci fa amare, che ci tocca e sconvolge la nostra solitudine, impedendole di diventare del solipsismo o dell’egoismo».

Fariba Karimi_Woman Life Freedom

E, quindi, nel luogo dove le istanze e le realtà sociali, politiche, culturali ed artistiche di tutti i paesi del mondo giungono insieme, si confrontano o semplicemente sono le une accanto alle altre, quale è la Mostra Internazionale d’Arte di Venezia, non poteva non soffiare il vento della guerra che imperversa negli ultimi anni dilaniando l’Europa e molte nazioni limitrofe. Una realtà cruda, violenta, impietosa, inspiegabile che giorno dopo giorno diventa quasi la normalità della vita di tutti noi. Entra e soffia la guerra e produce dissenso e negazione. E diventa protesta, come quella per escludere la partecipazione di Israele o della Repubblica Islamica dell’Iran, iniziata già mesi prima dell’inizio della Biennale e continuata con manifestazioni pro-Palestina e contro Iran all’interno dei Giardini durante i giorni della pre-apertura.

E si amplia e si amplifica con la scelta dell’artista e dei curatori di Israele di non aprire il Padiglione finchè, come recita il manifesto ivi esposto, non sarà proclamato il cessate il fuoco e tutti gli ostaggi non saranno rilasciati. E assume connotati imprevisti e contraddittori con il silenzio intorno al Padiglione dell’Iran dove tutto tace, porta blindata e nessuna dichiarazione ufficiale.

La guerra è anche il tema di alcuni Padiglioni Nazionali, come il progetto della Turchia nel quale Gülsün Karamustafa realizza sculture che riflettono lo stato attuale del mondo: un campo di battaglia travolto da guerre, migrazioni forzate, disastri ambientali; o quello dell’Ucraina nel quale viene proiettato il film Civilians. Invasion che racconta i primi giorni dell’invasione russa attraverso il montaggio di video ripresi da Youtube. È la guerra la voce della Polonia: fuoriesce dalle bocche di rifugiati civili che narrano la loro esperienza riproducendo i ricordi uditivi di bombardamenti e missili. L’installazione della Serbia è contenuta all’interno del Padiglione che riporta in facciata la scritta “Jugoslavia”, nazione dissolta dopo i conflitti degli anni ’90: Aleksandar Denić ricrea un ambiente che potrebbe essere presente in ogni dove generando così una realtà distopica, straniante che conserva ancora la memoria di quello che è perso per sempre.

Padiglione Iran

È la guerra, è il pericolo di estinzione a causa di migrazioni di massa e squilibri climatici, dunque, a costituire la realtà che viviamo in questo XXI secolo; e spodesta dalla nostra attenzione tutto quello che appare accessorio, non necessario, immaginifico, visionario. L’arte se ne fa carico, assume su di sé il dolore e il tormento. Ogni progetto è rappresentazione etica, sociale; non c’è traccia di intelligenza artificiale in nessuna proposta, non c’è posto per nient’altro che non sia aderente alla vita vera.

Finalmente, perchè è dalla vita che nascono i sogni.

 

In questo speciale Biennale Arte 2024 potete leggere:

 

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