Proust, Ferrer, Opalka e il tempo

DI SERGIO MARIO ILLUMINATO

Il tempo lo si può misurare soltanto in maniera indiretta, e il susseguirsi di una sequenza di movimenti, spostamenti, modifiche, su corpi, oggetti, paesaggi, lascia la sensazione dello scorrere di questa forza invisibile. Significativa appare la ricerca di molti artisti contemporanei che nel loro lavoro hanno provato non a rappresentare ma a presentare il tempo: osservandolo, marcando, sospendendo, condensando, o allungando il suo flusso.

Il lavoro di MARCEL PROUST è proprio questo cercare di raccontare il tempo attraverso il tempo, cioè utilizzare il tempo come strumento di racconto ma anche come materia del racconto. Alla ricerca del tempo perduto ha luogo in un tempo pubblico chiaramente identificabile, mentre il tempo personale del suo narratore si muove con un andamento irregolare, che è ripetutamente sfasato rispetto a quello degli altri personaggi ed è irriducibile ad ogni sistema di riferimento. Nella ricerca del tempo perduto il tempo pubblico saranno totalmente inutili, superficiali, poiché Proust impara a porsi in ascolto per captare le oscillazioni appena percettibili dei ricordi impressi nel suo corpo molto tempo prima e destinati a ripresentarsi a lui per vie imprevedibili e incantevoli.

Proust scrive: Gli spazi in cui viviamo ci avvolgono e scompaiono, come le acque del mare dopo che una nave le attraversa. Cercare l’essenza della vita nello spazio è come tentare di cercare il percorso della nave nell’acqua.: essa esiste soltanto come memoria del flusso del suo ininterrotto movimento nel tempo. Proust, Bergson e lo stesso Freud insistono che solo il passato è reale, che soltanto il recupero del passato può ispirare l’arte. 

Il lavoro fotografico dell’artista basca ESTHER FERRER – artista concettuale molto nota nel panorama dell’arte performativa dagli anni Sessanta – è fondato, in gran parte, sul passare del tempo. La Ferrer utilizza il suo corpo ed il suo volto come modelli dominanti nella sua opera. Nella serie “Autoretrato en el tiempo” sono diversi gli autoritratti nei quali il volto dell’artista è ricomposto da due scatti realizzati a distanza di diversi anni uno dall’altro. In questo modo, l’artista mostra allo spettatore le sue riflessioni sul tempo che passa. Osservando questi ritratti composti, è stupefacente notare come il volto di una persona, nel caso specifico quello dell’artista, subisce con gli anni solo impercettibili variazioni.

L’opera ebbe inizio oltre venti anni fa, il cui primo risale al 1981 e l’ultimo al 2004, e consiste in una serie di autoscatti dell’artista realizzati a cadenza quinquennale, in bianco e nero, con lo stesso sfondo, la stessa luce, la stessa inquadratura e dove, nulla cambia, se non il passare degli anni sul viso di Esther Ferrer. Realizzati i ritratti e tagliati a metà in senso verticale l’artista li riunisce in un unico ritratto “dei doppi tempi”. Gli scatti di Autoretrato en el tiempo sorprendono particolarmente per gli esigui cambiamenti intercorsi nei 23 anni di distanza dal primo all’ultimo. Ferrer, ovviamente, non ha subito in questi anni nessun trattamento chirurgico ma solo il “trattamento” del normale scorrere del tempo. La serie Autoretrato en el tiempo è un work in progress, pertanto, l’artista continuerà questo lavoro negli anni a venire.

ROMAN OPALKA, artista franco-polacco, scomparso nel 2011, presenta l’idea del tempo che scorre e la sua capacità di consumare lentamente la vita dell’essere umano. L’artista riesce a fermare con il pennello lo scorrere del tempo, rendendo in immagini visive il consumo dell’opera d’arte, come mimesi della vita stessa. Roman Opałka ha dedicato la sua vita al tentativo di rappresentare qualcosa che non è misurabile – lo scorrere del tempo – riuscendo a restituirne forma visiva attraverso il numero come elemento base di una sequenza continua e potenzialmente infinita, che è coincisa con la sua esistenza.

Questo suo programma di lavoro è iniziato nel 1965: da quella data, infatti, Opałka comincia a contare da 1 all’infinito, e lo fa dipingendo sulla tela, con il pennello a punta fine, numeri in progressione fino a saturarne la superficie. La numerazione interrotta ricomincia su un’altra tela. Ogni quadro, intitolato Détail, ha rigorosamente lo stesso formato, che coincide con la dimensione della porta del suo studio. I numeri bianchi sono inizialmente dipinti su fondo grigio: un fondo grigio che l’artista, dopo aver dipinto il primo milione nel 1972, continua a sbiancare aggiungendo a ogni cambio di tela un 1% di bianco, fino ad annullare il contrasto necessario per la lettura dei numeri.

Opałka segue metodicamente il programma giorno dopo giorno, fino a quando il sopraggiungere della morte necessariamente ne interrompe il lavoro, lasciando l’ultimo quadro non finito. Nel 1968, a ogni Détail Opałka decide di abbinare un autoritratto fotografico in bianco e nero, scattato alla fine di ogni sessione di pittura del suo programma 1965 / 1-∞. Sono fotografie in cui l’artista cerca di mantenere fissi alcuni elementi: l’espressione, la distanza dall’obiettivo, lo sfondo e la camicia, per far emergere le trasformazioni “scultoree” sul suo volto, causate dallo scorrere del tempo, vero soggetto anche di questa serie.

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