La Compagnia Zappalà Danza è ‘Brother to Brother’ – PREMIÈRE a Fuori Programma

DI SERGIO MARIO ILLUMINATO

Il crepuscolo industriale e il battito segreto della danza

Un rito, un miscuglio di corpi, spazi e suoni che sembra voler attraversare l’Etna e il Fuji

Al Teatro India, in quel luogo dove il tempo sembra essersi incastrato tra ferri arrugginiti, archi piegati e muri scrostati, succede qualcosa che non so bene come raccontare. C’è un bacio, rosso — ma non è un bacio d’amore, no — è qualcosa di scomodo, un segno che resta addosso e costringe a chiedersi cosa voglia dire davvero.

I corpi sono vestiti di nero, tra stoffe e trasparenze; le donne con una sottana semplice, gli uomini con merletti un po’ sgualciti, consunti, una specie di mescolanza tra fragilità e forza. Ma non so se vogliono mostrarsi così o se tutto finisce per perdersi. Le articolazioni si muovono, si contorcono, cercano di liberarsi, ma qualcosa le tiene strette, come fossero intrappolate in un gesto silenzioso e ostinato.

Il vociare del cuttigghiu è confuso, parole gettate nell’aria senza una vera direzione, un rumore che sembra voler dire qualcosa, ma forse non vuole dire nulla. Un peso sospeso che non si capisce se cadrà o continuerà a reggere. Corpi che girano senza meta, sguardi che si cercano e si perdono, una danza fatta più di vuoti che di presenze.

Poi arriva il ritmo. I tamburi Munedaiko suonano, ma non è un suono sicuro: è un richiamo incerto, come se anche loro cercassero una strada. Ai polsi, campanelli tintinnano, ma ogni nota è sospesa, in bilico tra ordine e caos, vulnerabile, quasi pronta a svanire. Il caos prova a farsi ordine, ma ogni tanto sfugge, lasciando dietro tracce indecifrabili, un movimento che si costruisce mentre già si sgretola.

All’improvviso, il corpo si blocca. È fermo, come una statua di lava non ancora raffreddata, pronta a sciogliersi o a esplodere, ma che ancora non ha deciso. Il silenzio non è vuoto: è pieno di qualcosa che si sente appena, come un respiro trattenuto, che pesa e parla con voce roca. Poi di nuovo l’onda: il respiro cresce, l’energia spinge, incalza, ma non si fa mai facile. È sempre una lotta, un continuo andare avanti e tornare indietro che confonde.

E poi c’è quella luce fragile. Un ballerino sfida la gravità in un gesto sospeso — ma non è un momento leggero: è piuttosto una battaglia con sé stesso, un tentativo delicato e incerto di volare in mezzo a tutta quella materia grezza. Un lampo che illumina storie intrecciate, tempi che si sovrappongono e si scontrano, senza trovare pace.

Il crepuscolo industriale cala su tutto, ma non come un abbraccio dolce: stringe, costringe. Ferro e cemento diventano parte di quel corpo collettivo, ma anche delle sue catene. Il pubblico non sta lì a guardare da fuori: percepisce qualcosa che sfugge, vibra teso, partecipe di un rito dal destino incerto.

Poi il ritmo esplode: incessante, generoso, ma anche feroce, quasi crudele. Il corpo resiste, offre ogni energia, ogni respiro, come un’ultima offerta possibile. Un rito che si ripete, forse senza mai finire, dove il singolo si perde e si moltiplica, senza sapere cosa accadrà dopo.

E poi il gong tibetano. Taglia il fragore degli enormi Ōdaiko e cala il sipario sul silenzio. Ma quel silenzio non è mai quiete: è uno spazio pieno di tutto ciò che non è stato detto, parole perse nel vuoto. Un luogo dove corpo e mente si incontrano in un’esperienza che sfugge, un tempo sospeso che resta dentro, insieme ombra e luce.

Brother to Brother – dall’Etna al Fuji non si guarda, si vive. Non è qualcosa da afferrare facilmente, ma una cicatrice luminosa, un battito che continua anche dopo che le luci si spengono, un enigma presente.

Alla fine, quel silenzio carico di tensione lascia dentro un’incantazione sottile, una forza che non riesco a trattenere. Mi spinge, quasi senza pensarci, a cercare il coreografo Roberto Zappalà per stringergli la mano — un gesto semplice e necessario, come riconoscere chi dà forma a quella verità sfuggente che sento vibrare dentro, più forte di qualsiasi parola.

E anche fuori, per strada, sulla moto mentre torno a casa, loro sono ancora lì, sparsi qua e là — i ballerini — e noi che gridiamo ancora a voce alta: “Bravi! Bravi!”… E finalmente, quei sorrisi: veri, fragili, luminosi.

Samuele Arisci, Loïc Ayme, Faile Sol Bakker, Giulia Berretta, Anna Forzutti, Dario Rigaglia, Silvia Rossi, Damiano Scavo, Alessandra Verona.

 

 

Brother to Brother – dall’Etna al Fuji
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Roberto Zappalà / Compagnia Zappalà Danza & Munedaiko

3 luglio | ore 19.45 | ANTEPRIMA
Arena Teatro India

in collaborazione con Amat e Civitanova Danza

Con il patrocinio del Municipio XI di Roma Capitale

Crediti

Regia e coreografia: Roberto Zappalà
Musica live: Munedaiko (Mugen Yahiro, Naomitsu Yahiro, Tokinari Yahiro)
Soundscape: Giovanni Seminerio
Drammaturgia: Nello Calabrò
danza e collaborazione, i danzatori della Compagnia Zappalà Danza: 
Samuele Arisci, Loïc Ayme, Faile Sol Bakker, Giulia Berretta, Anna Forzutti, Dario Rigaglia, Silvia Rossi, Damiano Scavo, Alessandra Verona.
Luci e costumi: Roberto Zappalà 
Realizzazione costumi: Majoca
Management: Vittorio Stasi
Tour management: Federica Cincotti
Ufficio stampa nazionale:Veronica Pitea
Direzione generale: Maria Inguscio
una coproduzione: Scenario Pubblico | Compagnia Zappalà Danza – Centro di Rilevante Interesse Nazionale per la Danza e Teatro Comunale di Modena, In collaborazione con Civitanova Danza, Marche Teatro e Fuori Programma Festival
con il patrocinio di INGV Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia
con il sostegno di MiC Ministero della Cultura e Regione Siciliana Assessorato del Turismo dello Sport e dello Spettacolo

Durata: 60 minuti

 

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