Las falles: il jazz artistico valenciano

DI FLAMINIA LUCCARDI

Mi trovo a Napoli quando ricevo l’invito ad andare a Valencia per assistere a Las Falles, una secolare tradizione costumbrista valenciana le cui radici affondano ai primi del XIX secolo e della quale mai avevo sentito parlare.

Dal 2016 Las Falles è entrata a far parte nella lista del patrimonio intangibile dell’umanità dell’Unesco, cosa che mi fa decidere senz’altro per questo viaggio.

Avevo trovato decisamente intrigante quel racconto su tutti quei falò che vengono appiccati in tutta la città la notte del 19 marzo per spegnersi all’alba del mattino seguente in occasione della festa di San Josè, protettore dei carpenteros e festa dell’equinozio di primavera.

Il pensiero dei circa 800 ‘’fallimenti’’, i coloratissimi, divertenti e satirici “ninots” (pupazzi di legno e cartapesta), che raggiungono finanche i 70 m, “plantanati” tra la notte del 15 e del 16 marzo nelle piazze valenciane sarebbe certo una locura (pazzia)!  Tuttavia, trovo altrettanto folle il fatto che gli artisti falleri si dedichino un intero anno alla realizzazione di queste monumentali allegoriche sculture lignee che costano milioni per poi gettarle tra le fiamme di un fuoco purificatore; tutte eccetto una: il ninot indultat”.

Dal 1934, infatti, su suggerimento dell’artista fallero Regino Mas, era stato previsto di affidare ad una giuria popolare “il salvataggio dal fuoco di un ninot”, ritenuto particolarmente meritevole per grazia, sentimento, cultura ed innovazione. Mi metto in movimento dunque verso la Cabalgata del fuego che inghiottirà le 800 falles realizzate per l’edizione del 2024 e che, come ogni anno, inizia alle 19.00 del diciannove di marzo in Calles de la Paz per terminare alla Porta del Mar.

Avanzo a rilento tra una moltitudine di persone: musicisti, venditori ambulanti, persone che ballano, donne in costume che sfilano per strada con omaggi floreali destinati alla Virjen dei Desampanados (senza tetto) e a San Josè, scoppiettii e rimbombi continui provenienti da ogni parte, ninos che fanno detonare miccette, odore di ciurritos, fritti al momento. Ad un certo punto, il mio sguardo incontra finalmente il primo fallimento: alto una ventina di metri si staglia davanti a me transennato. Un’esplosione di colori è ciò che dapprima mi sovrasta; poi lo sguardo ne coglie le linee, gli sguardi… le dimensioni imponenti; al centro del perimetro del basamento scorgo una lunga miccia già predisposta che camminando in terra arriva dritta fino al suo cuore.

A guardarlo, a primo impatto, lo percepisco maestoso ma poi, poco dopo, è la sua vulnerabilità ad incantarmi, forse perché so già che di lì a poco sarà solo legna per il fuoco e non posso fare a meno di pensare al ciclo della vita. Mi soffermo sui dettagli di quest’arte costumbrista di epoca franchista di cui i valenciani sono maestri; gli originari parots (strutture di legno), che servivano a sostenere le lanterne utilizzate durante l’inverno per illuminare le botteghe dei falegnami, sono stati nel tempo meticolosamente “umanizzati” da questi artisti sino a diventare imponenti sculture messaggere di una satira vivace che sul momento non riesco a decifrare con facilità.

Quella combinazione di Ninots apparentemente caotica è intrisa di quell’umorismo valenciano di cui ho tanto sentito parlare. Provo ad avvicinarmi di più, sgomitando anche un po’ e scatto la mia prima foto.

Vicino ponte de l’Angelo Custode alle 23.59 mi incontro con gli altri per assistere a La Nit del foc: lo spettacolo pirotecnico più ed atteso di tutte las Falles. Il punto più strategico per godersi lo spettacolo è il famoso ponte de les Flors vicino al Museo delle Arti e delle Scienze. Ma per raggiungerlo bisognava muoversi molto prima e ormai è troppo complicato.

Il primo fischio luminoso taglia il cielo a metà, annunciatore di uno spettacolo che terrà tutti con la testa rivolta verso l’alto per più di mezz’ora. Il cielo si illumina a giorno ospitando un susseguirsi di figure.

Decidiamo di fare un salto in Plaza della Ayuntamento dove troneggia, per la sezione “fuori concorso”, la Falla comunale, un’opera dal titolo: Due colombe. Un ramo”. Due enormi colombe bianche, sospese in aria e legate da un ramoscello di ulivo, sembrano proteggere la piazza del Comune; anche il loro destino è quello di bruciare il giorno della Cremà alle 23.00 in piazza della Ayuntamiento. In basso vedo una serie di dettagli che mi colpisce: gli uomini delle caverne e un pomo rosso che rimanda inevitabilmente alla discordia. L’opera è immediatamente evocativa di un messaggio universale: un appello alla pace.

È già mattina avanzata del diciannove e tutto è pronto per la Cremà. Un’interminabile raffica di spari, botti, rimbombi e frastuoni di suoni durata venti minuti sporca di fuliggine il cielo, la cenere svolazza sulle teste dei presenti. Non si vede più il marciapiede opposto della strada: il cuore batte accelerato. È la cosiddetta Mascletà, introdotta nella manifestazione dopo il 1914 e che fu studiata da esperti provenienti da tutto il mondo. Da allora si ripete quasi a tout a l’heur lungo il Turia e per le calles della città.

Il mio soggiorno a Valencia volge al termine e mentre mi avvio in direzione aeroporto mi imbatto casualmente in Pedro, un carpentiere nel quartiere di Olivereta. Pedro non sa rispondere alle mie domande sulla Mascletà ma per lui l’impatto acustico è insensato: “una locura” che, se si vuole sostenere, deve essere rivista”.

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