Il Corsaro e la Mandorla

DI PAOLO GUGLIELMI..diario speciale da Roma a Istanbul
(photo credits of the author of the article)

“Yalcin, dimmi che oggi la vedremo”. L’arrampicata a mezza costa sulla falesia è dura, ma Yalcin trova il fiato per rispondermi “insallah!”.

Non che Yalcin sia un campione di dialettica, in ogni caso. Lui è un segugio da foche. Ha passato tutta la sua vita qui a studiarle e proteggerle. Per sapere se sono state in qualche grotta, letteralmente “annusa” le rocce. Come un boscimano nel deserto ne segue e ne interpreta le tracce. Ti dice che cosa hanno fatto, quanto hanno dormito e cosa hanno mangiato. Incredibile.

 “Quanto manca ancora?” gli chiedo un pò in affanno. “Siamo arrivati, aguzza gli occhi e soprattutto stai zitto”. Un classico. E me lo aspettavo pure…

Una bellissima postazione su una falesia a picco sul mare, il sole ancora basso dietro di noi, nessuna attività umana nei paraggi, niente barche di passaggio. Per non ricevere ancora un’occhiataccia da Yalcin dico solo tra me e me che se non riesco a vedere la foca monaca oggi, non avrò più molte altre occasioni così favorevoli.

Il binocolo compatto da “bird watcher”comincia a lasciarmi segni profondi intorno agli occhi. Mi giro verso Yalcin con sguardo interrogativo. Come un siciliano, chiude gli occhi e tira su il mento. Mi sembra di sentirlo in un’altra delle sue tipiche espressioni: “yok”. Non c’è. Quante volte l’ho sentita? Lascio il binocolo e mi riposo la vista un momento.

Una lunga macchia scura proprio sotto di noi, ferma sul fondo accanto ad uno scoglio. Quasi mi viene un infarto. Trattengo davvero a stento un urlo di gioia. “Yavash yavash”  – piano piano – mi dice Yalcin, tentando di arginare i miei frenetici movimenti per estrarre la macchina fotografica con relativo teleobiettivo che, come sempre, non vuole saperne di uscire dalla custodia. Che fortuna! Che spettacolo! Non sembra affatto spaventata. Sta lì sul fondo e non si muove. Sarà lunga 3 metri. Noi cercavamo chissà dove e lei era proprio sotto di noi. Guardo ancora Yalcin e gli chiedo con un sussurro se stia appostata in attesa di qualche preda. Non mi risponde. Sembra ipnotizzato. Fissa la foca come se volesse muoverla con la forza del suo sguardo. Niente. Non si muove di un centimetro. Apre il borsone da sub e si infila con gesti meccanici la sua mitica muta rossa. Siamo a gennaio e l’acqua è fredda.

Mentre osservo Yalcin scendere rapidamente la scogliera e tuffarsi in acqua, comincio a scattare automaticamente qualche foto. Un’immensa tristezza comincia ad assalirmi. Vedo Yalcin che prende la foca. La porta in superficie e la trascina a riva, cullandola tra le braccia come fosse sua figlia. Rimane così a lungo, senza un lamento, senza una parola. Mi sento quasi di troppo in questa scena. Possibile che dopo tanti anni di ricerca e vani tentativi, la prima foca monaca che riesco a vedere sia morta? Scherzi del destino. “Korsan” – il Corsaro – così Yalcin lo aveva chiamato a causa della mancanza di un’occhio portato via da una fucilata – era morto poche ore prima del nostro arrivo. Sulla piccola spiaggia, seduti accanto a Korsan, Yalcin mi racconta che era un maschio adulto e un po’ troppo intraprendente. 

La fucilata l’aveva ricevuta qualche anno prima da un pescatore esasperato per il continuo danneggiamento delle sue reti e furto di pesce. Oltre ad aver perso un’occhio, il povero Korsan una volta era anche rimasto impigliato con la testa nella rete di un pescatore. Yalcin era riuscito non si sa come a saperlo immediatamente e l’aveva liberato, ma Korsan portava ancora evidenti segni della rete intorno alla testa. Mi dice che era convinto che dopo queste esperienze, quella foca sarebbe sopravvissuta a tutto. Poi mi spiega che nella zona le risorse scarseggiano a causa della pesca eccessiva e dell’inquinamento e che di conseguenza le foche sono costrette a comportamenti inusuali, come il prelievo di pesce dagli attrezzi da pesca o dagli allevamenti. Mica sceme – penso con crescente ammirazione per questi animali. Ma questo, ovviamente, suscita le ire giustificate dei pescatori e le reazioni estreme come il ricorso al fucile. Un’altra disgraziata guerra tra poveri…

Delle ore che seguirono ricordo bene solo alcuni particolari: Yalcin che chiama un pescatore e carica il corpo di Korsan sulla lancia; tutto il villaggio di Foca, sindaco in testa, radunato al nostro arrivo in porto in mesto silenzio come nel più solenne dei funerali; il veterinario che effettua l’autopsia in un buio e freddo locale dietro il porto; la diagnosi di morte dovuta ad una infezione da ferita riaperta, i pallettoni da caccia estratti dall’orbita oculare colpita; gli scatti dei flash che fissano il nero evento; l’infinita angoscia della perdita di un bene prezioso.

Ricordo anche di aver chiesto a Yalcin, al di fuori delle stime ufficiali basate principalmente su estrapolazioni, quante foche restavano ancora, ma solo realmente contate. Una ventina da queste parti – mi disse –  un’altra ventina nella costa turca della Cilicia e forse altre 150-200 tra Egeo, Ionio ed il resto del Mediterraneo. Mi venne in mente allora, forse umanizzando esageratamente, che Korsan poteva essere come uno degli ultimi Mohicani…

“Prendi la due per favore? Ti cercano dalla Turchia”. Premo l’odiato tasto che immancabilmente ti interrompe nei pochi momenti d’ispirazione delle giornate lavorative. “Harun?” “Ma che bello risentirti dopo tanti anni!” Harun è un altro fantastico personaggio. Era arrivato nel progetto WWF di Foca poco dopo Yalcin. Come lui, giovane, idealista e super motivato. Se Yalcin era l’uomo delle foche sul campo, Harun era il campione delle foche nelle università e nelle amministrazioni, nei media e nelle conferenze internazionali. Se uno convinceva i pescatori a non ucciderle, l’altro convinceva i politici a proteggerle e il pubblico ad amarle.

 “Paola” – mi dice con voce sorniona e con quell’insopportabile e inconfondibile “a” alla fine del mio nome che ai Turchi, non si capisce perché, viene naturale – “ti interessano ancora le foche monache?” Gli rispondo che una vera passione non si dimentica mai, anche se non si vive di continuo. Come andare in bicicletta. Ma intanto non posso fare a meno di aggiungere che se si tratta di un’altra notizia triste, non voglio nemmeno sentirne parlare. La vecchia bruciatura non deve tornare a pulsare. “tutt’altro” – mi risponde divertito – “esattamente il contrario!”.

Abbiamo “Badem” – mandorla – così lo avevano chiamato, anzi, chiamata, perché era una bellissima foca femmina marroncina. L’avevano trovata pochi giorni prima spiaggiata e morente a oltre 100 chilometri dal più vicino sito di riproduzione. Il proprietario di un ristorante nelle vicinanze aveva avvertito la guardia costiera e questi, grazie al network avvistamenti di foche creato da Harun, aveva subito avvertito la SAD-AFAG, l’associazione ambientalista per la protezione delle foche di cui i miei amici facevano parte. “Allora vieni?” Mi chiede Harun.

L’illuminato proprietario del Phokaya Club Hotel di Foca, che, a scanso di equivoci, presenta al suo ingresso un’imponente scultura con tre belle foche monache, aveva aperto l’albergo fuori stagione per ospitare Badem. Da non credere. Harun e Yalcin avevano chiamato subito due veterinari da Peterburen, il centro europeo più importante per il recupero delle foche per assistere Badem, attualmente “alloggiata” nel bagno delle signore. Arriviamo con mia moglie a Foca totalmente impreparati, sia all’inconsueto gelo proveniente dalla Siberia, sia all’incontro con Badem. I veterinari stanno preparando il pasto serale, uno dei quattro quotidiani. Ci spiegano subito che non è una passeggiata nutrire la piccola foca. Quando l’hanno portata qui era fortemente denutrita, debilitata e quasi incapace di muoversi. Ora, dopo qualche giorno, stava già molto meglio. Le danno frullati di tonno fresco opportunamente riscaldati e cocktail vitaminici.

Molto più di quanto immaginassimo, per me e mia moglie è amore puro a prima vista. Appena la porta del suo bagno viene aperta, lei comincia subito a far sentire la sua voce, pregustando l’arrivo del cibo. Che spettacolo! Un cucciolo di una delle 10 specie di mammiferi più a rischio di estinzione al mondo. Bello, eccitato ma soprattutto vivo! Nella mia mente, in un attimo, le immagini  della morte di Korsan vengono cancellate e sostituite. Penso, anche se contro ogni probabilità, che magari Badem potrebbe essere un suo discendente! Abbiamo tutti e due un fremito di reazione protettiva quando il veterinario si avvolge con un asciugamano come un lottatore attorno a Badem. Per alcuni secondi sembra un incontro di lotta libera, visto che lei, istintivamente si ribella. Sono la calma ed il sorriso di Harun ed i gesti controllati  ed esperti del veterinario che ci trattengono dal saltargli addosso per difendere Badem. Ma stiamo quasi per urlare quando gli infilano un tubo in gola e lo collegano ad un imbuto all’altra estremità. Lo spavento passa subito. Badem, infagottata come ET e intubata come un paziente terminale ci fa capire con i suoi occhi da cartone animato e con singulti di soddisfazione, che il frullato è di suo gradimento. Per tre giorni, nonostante la superlativa cucina turca, i pasti più importanti a cui partecipiamo sono solo i quattro giornalieri di Badem.

Harun mi racconta che è riuscito a trovare uno sponsor per aiutarli a sostenere le spese non indifferenti per la riabilitazione di Badem. La signorina avrà in pochi giorni una villetta sul mare tutta sua con grandi vetrate con vista, una specialissima cucina e soprattutto una piscina per non farle dimenticare la sua natura di mezzo pesce. Mi dice anche che l’intero programma ambientale delle scuole di tutta la provincia e persino di alcune della capitale è stato modificato per includere una visita a Badem. Molto bene! Chissà che non si riesca, questa volta, ad ottenere qualche area protetta in più per salvare le nostre amiche.

Onestamente devo dire che sono in molti a stupirsi e talvolta anche a sorridere maliziosamente o con compassione mascherata da condiscendenza per dimostrarsi “politically correct” quando cerco di trasmettere e spiegare la mia passione speciale per questi animali. Una volta, in modo molto cinico e saccente, un esperto del settore mi ha chiesto: ‘ma se la foca monaca si estinguesse, cosa cambierebbe nell’ecosistema marino? Quali sarebbero i problemi?’ Anticipando la risposta inclusa nella sua domanda ho risposto: ‘hai ragione, probabilmente non cambierebbe nulla’. In effetti gli esperti di ecologia dicono che, nella più estrema delle eventualità, l’uomo sarebbe in grado di sopravvivere sotto una cupola di vetro con la disponibilità di pochissime specie animali e vegetali. Ma siamo sicuri che basterebbe solo soddisfare le funzioni biologiche primarie per mantenere in vita una creatura così complessa come la mente umana? Chi o cosa nutrirebbe la mente e l’anima? La foca monaca è un piccolo pezzo di cibo per le nostre anime, per l’immaginario comune, anche per coloro che non l’hanno mai vista. Perderla sarebbe come perdere una parte di tutti noi, anche se ciò non comporterebbe alcun cambiamento ambientale.

Mi diverto ancora oggi ad osservare le reazioni della gente a questa mia teoria. Ricordo che l’esperto che mi fece la domanda sembrò aver capito, e voi?

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