MONICA VITTI racconta gli anni ’90

DI MONICA VITTI, regista-attrice

Roma, il Cinema ed Io… (appunti di lavoro)  a  cura di Sergio Illuminato, edito nel 1993 dal Quotidiano Paese Sera. Interviste alle principali personalità del mondo del cinema che restituiscono uno spaccato della società degli anni ’90.

Il mio rapporto con Roma è un rapporto che cambia a secondo delle strade, delle piazze, del tempo, delle stagioni, del lavoro o del riposo. Del passeggio o della corsa.

E un rapporto di rispetto, di amicizia, d’amore. La guardo sempre come la vedessi per la prima. volta.

Ci sono nata, poi ho vissuto la mia prima infanzia in Sicilia, poi a Napoli e sono tornata qui ancora bambina, con la guerra e le bombe. Senza più casa, amici, con una mamma malatissima.

Ho visto passare l’orrore dei tedeschi. Ho visto entrare gli americani; ho visto e sentito la paura di una finestra.

Ricordo quando facevo la fila per il pane o l’acqua. Ho visto, non solo la mia città, ma la vita, depredata offesa, sporcata, umiliata. E poi, finalmente ricostruita.

Io faccio parte di questa città dura e bellissima, abbandonata e trascurata, ma con sotto sotto una gran forza di ricominciare, di migliorare, di esistere. Ameno spero!

Roma ne ha viste tante ed è paziente. Io la amo, anche perché sa aspettare tempi migliori, nonostante coloro che la avviliscono con palazzi orrendi o che la distruggono e la offendono.

Io sono seduta a Piazza del Popolo e aspetto piena di speranza.

Cinecittà è legata al mio lavoro, anche se per poche occasioni. Ricordo solo gli interni e l’edizione di alcuni film.

Il primo, è stato il doppiaggio e l’edizione de “L’Avventura” e poi de “La notte” di Michelangelo Antonioni.

Credo anche di essere stata a Cinecittà per l’edizione de “La ragazza con la pistola” di Mario Monicelli, per “Dramma della gelosia” di Ettore Scola e sicuramente con “Flirt” di Roberto Russo.

Forse anche per gli, interni delle commedie di Steno o di Risi. Pensandoci ora, ho come l’impressione di essere arrivata tardi. Quando i veri giochi erano finiti.

Perché c’è stato Un momento d’oro, culminato con i film di Fellini: dalla “Dolce vita” a tutti gli altri, che hanno lasciato un’aria di fantasia e di invenzione. E anche questo l’ha resa più bella. 

Io ne ho un po’ l’immagine che ne ha Federico: di gioco, di giostra.

L’architettura neofascista oggi è curiosa, addirittura statica e un po’ magica. Forse è un po’ ferma nel passato. Invece, dovrebbe essere una vera città del cinema, dove c’è la storia del nostro cinema, i ricordi, i cimeli, dove soprattutto si lavora tutti i giorni.

È giusta la scuola che è di fronte, il “Centro Sperimentale di Cinematografia”, perché fa pensare al futuro, non solo di Cinecittà, ma del nostro cinema.

Forse dovrebbe essere tutt’uno.

Speriamo che viva sempre di più, che gli studi siano pieni, che ci si lavori.

Altrimenti può avere un senso di passato e di abbandono, che non riguarda soltanto i fabbricati, gli studi, gli uffici o le sale di proiezione.

Va difesa e vissuta: questo è il mio augurio e la mia speranza.

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