Arte e identità della specie umana

DI SERGIO MARIO ILLUMINATO

La tradizione vive ancora nell’Arte «Contemporanea»? Hannah Arendt, politologa, filosofa e storica tedesca naturalizzata statunitense sostiene: «Per gli esseri umani pensare a cose passate significa muoversi nella dimensione della profondità, acquisire stabilità, mettere radici in modo tale da non essere travolti da quanto accade». Non si può essere pertanto che dei “conservatori”, cioè dei custodi attivi di tutto quello che può farsi tramite di nuovi significati.

L’arte ha sempre avuto il potere di farci sentire questo mondo invisibile della tradizione, anche contrastando l’esistente, portando avanti la sensibilità umana di fronte agli inevitabili cambiamenti che ci aspettano ad ogni nuovo progresso scientifico e tecnologico che sulla collettività hanno un effetto incantatorio, denso di meraviglia.

In questo nonluogo emergono dalla memoria le frasi di Marc Augè, noto antropologo, etnologo, scrittore e filosofo francese: «Forse ci stiamo abituando a non pensare più veramente nel tempo, a pensare il tempo, e le tecnologie della comunicazione ci trasmettono troppo facilmente il sentimento di vivere in un eterno presente».

Per capire bene dove stiamo andando senza ulteriori commenti, serve aprire le porte ad un grido d’allarme lanciato in quest’ultimo mese da Gabriele Simongini, storico d’arte di lunga data e solida carriera, insegnante d’accademia, saggista e curatore di mostre, nel saggio appena pubblicato: “Arte e identità della specie umana (edizioni Manfredi)”.

«Sempre più i nostri corpi si incrociano con i dispositivi tecnologici che pervadono quasi ogni fase ed ogni azione del nostro vivere connessi, in quello che è il più radicale sistema di modificazione della vita organica che oggi si conosca… Oggi la natura e la memoria – sostiene Simongini – sono ridotti a luoghi di rovine in continuo e progressivo disfacimento… In mezzo a queste rovine si è perso l’homo Simbolicus ed è nato e cresciuto l’Homo Consumens – di baumaniana citazione – privo di radici ….e l’arte ha subito una specie di “spillover”, salto di specie, a causa della moda, il design, i social network, la speculazione finanziaria e il marketing» che ne hanno fatto oggetto di aggressione parassitaria.

Si è realizzato quanto profetizzato da Nietzsche, la “vetrinizzazione del mondo”, il primato della superficie sulla profondità. Troppa arte contemporanea chiede al suo pubblico di regredire, di rinunciare a risultati assoluti, di accontentarsi di un frammento, di una trovata o di una mezza idea. Così la moda, tra gli altri, vince sulla storia e il presentismo cancella la memoria… questa strategia ha avuto oggi il suo astutissimo profeta, quel Damien Hirst della strabordante mostra “Treasures from the Wreck of the Unbelievable (Tesori dal relitto dell’Incredibile, 2017)”, eccezionalmente presentata nella doppia sede di Palazzo Grassi e Punta della Dogana, a Venezia, per volontà di Sua Maestà François Pinault e poi sbarcata, col massimo della legittimazione culturale, nelle sale della Galleria Borghese, a Roma.

Ed è curioso notare che in un articolo del 2010 Marc Fumaroli, stigmatizzando “la deriva commerciale (sfilate di moda e concerti rock al museo), ma anche la confusione semantica tra patrimonio culturale e intrattenimento di massa” che riguardava anche l’Italia, citava come emblema paradossale di tale svendita proprio l’ipotesi per lui inconcepibile e irrealizzabile di “esporre Damien Hirst a Villa Borghese”, limite invalicabile oggi allegramente e orgogliosamente superato! Le cui presunte opere, realizzate da una moltitudine di artigiani del settore, danno ragione a Jean Clair, scrittore, storico dell’arte e curatore francese: «Tutti creativi, nessun creatore…oggi quello che chiamiamo “arte” non è nient’altro che un idiotismo attraverso il quale si esprimono i capricci infantili di un individuo che crede di non dover più nulla a nessuno» …E la storia dell’Arte è svuotata, cancellata e riscritta come puro intrattenimento senza profondità, da liquidare o meno con un “like”.

Altro testimonial d’eccezione del nostro tempo: Jeff Koons, che recentemente ha realizzato il concept della nuova auto BMW 850i disegnata insieme al team di ingegneri e designer della storica casa automobilistica tedesca e presentata in pompa magna nel corso di una serata di gala alla Pinakothek der Moderne di Monaco di Baviera. Ecco, basta un titolo, una pubblicità che assolva il pubblico dalla sua sprovvedutezza grazie all’affinità con un’idea o una griffe di successo. Questo credere “di non dover più nulla a nessuno”, in ogni settore di attività umana, è il problema della nostra epoca. Problema antropologico enorme, che rimanda a quello della responsabilità.

Libro profetico come pochi, 1984 di George Orwell ha affrontato con tanta provocatoria efficacia allargandone smisuratamente i limiti esattamente quel che accade oggi, in ogni campo della vita umana, dominata dalle fake news e dall’onnipotenza delle multinazionali hi-tech. Sembra così di avere varcato un punto di non ritorno. Oggi i despoti ‘illuminati’, appunto, della «rete» (Google, Twitter, Apple, Amazon, Facebook, ecc.), si sono creati degli intercontinenti che producono il ‘liquido’ al loro interno e se lo scambiano senza soluzione di continuità. Dove anche la tradizione perde la sua memoria viva e le forme stesse dell’arte, e non soltanto di quella contemporanea, si sciolgono nell’imbuto del Global Village, tendendo a non distinguersi dal complesso delle attività economiche e perdendo il legame creativo con la tradizione e la capacità di affermarsi come centro rammemorativo.

Resta perciò valida l’analisi condotta da Jose Ortega y Gasset in La disumanizzazione dell’arte (1926), secondo cui la prevalenza degli strumenti sui fini ha determinato, nell’arte e nell’intera civiltà europea, una crisi dell’idea stessa di “umanità”.

Maurizio Cattelan, pur essendosi giovato di strategie pubblicitarie e comunicative quanto mai alla moda, ha capito che «viviamo nell’impero del marketing, dello spettacolo e della seduzione, così uno dei ruoli di artisti e critici e quello di decostruire queste strategie, resistere alla loro logica, usarle e/o trovare nuovi metodi di attivismo contro di loro».
Riusciremo a sfuggire alla logica del luna-park? dove svagarsi, distrarsi e stordirsi con qualcosa di insolito e inebriante, con qualche amena curiosità da vivere in modo interattivo come un passatempo qualsiasi. La possibilità di diffondere qualsiasi cosa negli infiniti capillari della “rete”, onde crearne consumo ha portato a questa situazione. Riusciremo a contribuire ancora oggi alla costruzione di un mondo degno di essere vissuto?

L’arte può aiutarci a “permettere alla nostra anima di raggiungerci”, come recita un antico detto africano citato da Simongini nel suo saggio. Ed è la forza interiore che permette all’essere di staccarsi dal ritmo dello scorrere delle cose, di conservare sempre meglio il passato per influenzare sempre più profondamente il futuro. È questo l’intento che sancisce l’apparire della bellezza come fonte di relazioni, e che non può ridursi a un giudizio di valore, se non come partecipazione a una memoria dell’esistenza – originaria e attuale.

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